INTERVISTA
A GIANFRANCO RAVASI
Tempi – Giovedì 11 dicembre 2008
“Milano è la mia Itaca. Nel ricordarla mi sento come
Ulisse quando, nel primo canto dell’Odissea, sogna di
poter tornare a Itaca per vedere il fumo che esce dai
comignoli del suo villaggio. Uso questa immagine per una
ragione sentimentale, non soltanto intellettuale, avendo
avuto con la città un legame più che ventennale di tipo non
solo culturale, ecclesiale, sociale. Una simbiosi affettiva
nata soprattutto quando ritagliavo un’ora del mio
tempo per camminare ai giardini, al parco o lungo la
cerchia dei Navigli. Vedere le strade di Milano costituiva
per me la possibilità di comprendere l’aspetto dei
luoghi che mi circondavano, come fossero la mia pelle. Non
si trattava solo di ritrovare il cenacolo delle amicizie,
ma di qualcosa di indefinibile, di impalpabile, che fa
parte del respiro della vita, della propria
identità”.
Milano non ha dimenticato Monsignor Ravasi, come continuano
a chiamarlo (anche dopo la nomina da parte di Papa
Benedetto XVI ad Arcivescovo con incarico di presiedere il
Pontificio Consiglio della Cultura) le non poche persone
che lo salutano quando lo incontrano in occasione dei suoi
ritorni nel capoluogo lombardo. Nell’intervista
concessa a Roma a questo settimanale, Monsignor Ravasi ha
dimostrato un autentico affetto per la città, con parole
nelle quali si ritrova tutta la sua statura culturale e
spirituale, ben conosciuta del resto attraverso i suoi
libri (l’ultimo dei quali si intitola: Le parole e i
giorni, edito dalla Mondadori), libri che procurano al
lettore una stimolante occasione di riflessione
esistenziale.
Prima Domanda
Milano ha avuto un luogo di primissimo piano dal punto di
vista religioso, grazie a figure di valore umano e
coraggio. Penso, solo per fare alcuni nomi, a don Gnocchi,
a Carlo Bo, a Giuseppe Lazzati rettore
dell’Università Cattolica, ai Cardinali Giovanni
Battista Montini (poi Paolo VI) e Carlo Maria Martini, allo
scrittore Luigi Cantucci, a monsignor Ernesto Pisoni, al
dottor Marcello Candia, a don Luigi Giussani, a un poeta
della fede come padre David Maria Turoldo, ad Alberto
Falck…
Un mondo certamente vivace, ma all’interno di questo
orizzonte ho avuto tendenzialmente, come mia scelta, il
desiderio di allargare le frontiere. Ho così conosciuto
anche tutto l’ambiente laico dell’industria,
dell’economia, della cultura. Del resto a Milano nel
passato non si sono mai registrati atteggiamenti fieramente
anticlericali. Sono stato per un lungo periodo membro di un
gruppo di persone di alto livello sociale, politico,
economico, istituzionale, che si riuniva a discutere e si
chiamava “gli amici del venerdi”. Prima di me
in questo ambiente c’era monsignor Pisoni, attraverso
il quale mi sono reso conto dello straordinario significato
dell’attività umanitaria di don Gnocchi e della
fondazione che porta il suo nome. Per rimanere al mondo
cattolico, vorrei soffermarmi su due persone diverse per
temperamento e per visione religiosa. Don Giussani da una
parte e Turoldo dall’altra. Non ho avuto un legame,
un dialogo costante con don Giussani, tuttavia lo stimolo
ricevuto da lui è venuto dalla sua opera a livello
intellettuale, culturale e religioso. Nel Breviario Laico
dello scorso anno ho citato commentandolo un suo passo sul
tema delle relazioni. “L’amicizia è reciproca
– scriveva don Giussani – implica un aiuto
reciproco. Altrimenti non c’è più amicizia, e neanche
compagnia, scade a livello puramente meccanico, che è
esattamente l’ideale dell’uomo di adesso. Siamo
insieme perché vogliamo raggiungere il destino. Se io sono
più grande di te, perché ho già fatto un tratto di strada
più lungo, allora tu dici: se io ti seguo imparo più
facilmente e con maggiore certezza, perché tu hai fatto più
strada. Questa è l’obbedienza. Seguire chi ti aiuta a
camminare verso il destino”. Conosco molto bene
Comunione e Liberazione, una presenza altamente
significativa nella comunità cattolica non solamente
milanese, un legame che continua tuttora attraverso una
produzione culturale rilevante. La mia nuova funzione ha
creato ora anche rapporti istituzionali e penso a ciò che
rappresenta il Meeting di Rimini per la cultura cattolica,
e che trova la sua radice appunto in don Giusssani. A
Turoldo mi univano legami di sodalità continui a livello
biblico-teologico, poiché abbiamo lavorato insieme su testi
vari. Parliamo di un orizzonte culturale di cui Milano
dovrebbe essere orgogliosa, ma la smemoratezza, il grande
vizio del nostro tempo, colpisce purtroppo anche la città.
Seconda Domanda
Vi sono poi a Milano istituzioni prestigiose:
l’Università Cattolica, il Centro Culturale San
Fedele dei Gesuiti, quello di Comunione e Liberazione, case
editrici cattoliche a cominciare dalla San Paolo, giornali
come Avvenire e Famiglia Cristiana…
Ho avuto rapporti con tutti, ma le ripeto, non sono mai
stato l’uomo di una sola stagione ecclesiale. Ad
esempio, vivi sono stati i miei contatti con la Bocconi, e
oltre a scrivere per Famiglia Cristiana e Avvenire ho
collaborato e collaboro col supplemento culturale del Sole
24 Ore, ricco di sfumature di laicità. Per avere un
quadro completo, vorrei aggiungere che sono stato
legatissimo alla Scala e ai suoi orchestrali, e provo
tuttora un senso di nostalgia nel pensare a loro.
L’unico mondo che mi spiace di non avere mai potuto
contattare e seguire spiritualmente, nonostante le
sollecitazioni ricevute (lei è il primo a saperlo) è quello
della moda, un mondo per molti versi dissociato e in
qualche modo disastrato dal punto di vista etico, ma che
riserva alla fine una possibilità di ascolto forse maggiore
di altri ambiti.
Terza Domanda
Veniamo a un’istituzione, la Biblioteca Pinacoteca
Ambrosiana, che lei ha, si può dire trasformato e reso
famosa nel mondo.
Sono stato nominato Prefetto dell’istituzione del
1999 dal cardinale Martini, e tre sono state le
soddisfazioni ricevute negli anni dal mio incarico. La
prima è stata quella di aver realizzato una totale
ricostruzione di un’istituzione ormai raggrinzita,
tutelandone il patrimonio artistico. Per fare un parallelo
storico devo risalire ad Achille Ratti, che prima di
divenire Papa Pio XI è stato Prefetto
dell’Ambrosiana, un uomo dotato di una capacità
organizzativa straordinaria. E’ merito suo se la
maggior raccolta di codici arabi in Europa si trova
all’Ambrosiana. Ratti bussò alle istituzioni
finanziarie per ottenere la cifra necessaria per assicurare
a Milano il fondo Caprotti, che stava per essere acquistato
dalla British Library, qualcosa come duemila codici arabi
scritti a mano di immenso valore. La seconda soddisfazione,
la più significativa è stata quella di realizzare
strutturalmente la fusione fra biblioteca e pinacoteca,
com’era nel sogno di Federico Borromeo. La terza
soddisfazione è stata di far sì che l’Ambrosiana
divenisse il cuore della cultura milanese. Ho ricevuto
tutti i milanesi di spicco, anche non cattolici. Sono
riuscito a ricrearla ancora come cenacolo.
Quarta Domanda
Non è stata grande solo la Milano cattolica, quindi, ma
anche la città della finanza ha mostrato generosità.
Lo spirito di carità ha confermato che Milano è veramente
una città col cuore in mano. Le istituzione caritative sono
una parte essenziale del suo tessuto culturale e la
generosità della città rappresenta un vero e proprio
aspetto antropologico.
Quinta Domanda
La carità è quindi un momento culturale.
Cultura significa riuscire a interpretare la società non
solo a livello sociologico, sociometrico o economico, ma
anche a livello umanistico. La stessa economia deve avere
un aspetto umanistico, non basarsi esclusivamente sulla
tecnica finanziaria o monetaria. Voglio dire che la figura
dell’uomo è essenziale nell’economia, e lo
dimostra la crisi che stiamo attraversando. La mancanza di
cultura dei manager delle banche ha provocato il disastro
che è capitato, e i dirigenti sono stati consumati dalla
loro avidità.
Sesta Domanda
Monsignore, Milano è una città certamente difficile da
molti punti di vista, a partire dal costo della vita fino
agli aspetti sociali legati all’immigrazione. Spesso
si è portati a pensare che sia una città tesa solo alla
finanza, al guadagno. Una volta lei mi disse però che
teneva conferenze in posti disagevoli, di periferia, in
serate fredde, eppure l’ascolto era alto. Possiamo
dire che a Milano, nonostante tutto, è possibile trovare
ancora la nostalgia di Dio?
La domanda è importante. Milano da un certo punto di vista
conserva un aspetto – potrebbe sembrare offensivo ma
non lo è – di comunità, di paese, ma vi si trova
anche se impallidito, un humus tipicamente ambrosiano. Il
fatto che quando tenevo conferenze persino nei luoghi di
periferia non ci fossero posti vuoti, e che il
volontariato, le istituzioni caritatevoli siano presenti in
maniera rilevante, mi fa pensare che la nostalgia di Dio
esista a Milano. Mi chiedo però se la Chiesa è capace di
tenere viva questa domanda, se conservi come in passato, la
capacità di stimolo, di lievito morale.