VIA
CRUCIS AL COLOSSEO DEL VENERDI SANTO 2007
MEDITAZIONI DI S.E.R. MONS. RAVASI
PRIMA STAZIONE - Gesù nell'orto degli ulivi
V/. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R/. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 39-46
Gesù se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi;
anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse
loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si
allontanò da loro quasi un tiro di sasso e,
inginocchiatosi, pregava: «Padre, se vuoi, allontana da me
questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua
volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo a
confortarlo. In preda all’angoscia, pregava più
intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue
che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò
dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E
disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non
entrare in tentazione».
MEDITAZIONE
Quando scende su Gerusalemme il velo dell’oscurità,
gli ulivi del Getsemani ancor oggi sembrano ricondurci, con
lo stormire delle loro foglie, a quella notte di sofferenza
e di preghiera vissuta da Gesù . Egli si staglia solitario,
al centro della scena, inginocchiato sulle zolle di
quell’orto. Come ogni persona quando è in faccia alla
morte, anche Cristo è attanagliato dall’angoscia:
anzi, la parola originaria che l’evangelista Luca usa
è «agonia», cioè lotta. La preghiera di Gesù è, allora,
drammatica, è tesa come in un combattimento, e il sudore
striato di sangue che cola sul suo volto è segno di un
tormento aspro e duro.
Il grido è lanciato verso l’alto, verso quel Padre
che sembra misterioso e muto: «Padre, se vuoi, allontana da
me questo calice», il calice del dolore e della morte.
Anche uno dei grandi padri di Israele, Giacobbe, in una
notte cupa, alle sponde di un affluente del Giordano, aveva
incontrato Dio come una persona misteriosa che «aveva
lottato con lui fino allo spuntare dell’aurora».(2)
Pregare nel tempo della prova è un’esperienza che
sconvolge il corpo e l’anima e anche Gesù, nelle
tenebre di quella sera, «offre preghiere e suppliche con
forti grida e lacrime a colui che può liberarlo dalla
morte».(3)
Nel Cristo del Getsemani, in lotta con l’angoscia,
ritroviamo noi stessi quando attraversiamo la notte del
dolore lacerante, della solitudine degli amici, del
silenzio di Dio. E' per questo che Gesù — come è
stato detto—«sarà in agonia sino alla fine del mondo:
non bisogna dormire fino a quel momento perché egli cerca
compagnia e conforto»,(4) come ogni sofferente della terra.
In lui noi scopriamo anche il nostro volto, quando è rigato
dalle lacrime ed è segnato dalla desolazione.
Ma la lotta di Gesù non approda alla tentazione della resa
disperata, bensì alla professione di fiducia nel Padre e
nel suo misterioso disegno. Sono le parole del «Padre
nostro» che egli ripropone in quell’ora amara:
«Pregate per non entrare in tentazione... Non sia fatta la
mia, ma la tua volontà!». Ed ecco, allora, apparire
l’angelo della consolazione, del sostegno e del
conforto che aiuta Gesù e noi a continuare sino alla fine
il nostro cammino.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Stabat mater dolorosa,
iuxta crucem lacrimosa,
dum pendebat Filius.
(2) Cf. Genesi 32, 23-32.
(3) Cf. Ebrei 5, 7.
(4) Blaise Pascal, Pensieri, n. 553 ed. Brunschvicg
SECONDA STAZIONE - Gesù, tradito da Giuda, è arrestato
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 47-53
Mentre Gesù ancora parlava, ecco una turba di gente; li
precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si
accostò a lui per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un
bacio tradisci il Figlio dell’uomo?». Allora quelli
che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere,
dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno
di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò
l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo:
«Lasciate, basta così!». E toccandogli l’orecchio, lo
guarì . Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro,
sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani:
«Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante?
Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le
mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è
l’impero delle tenebre».
MEDITAZIONE
Tra gli ulivi del Getsemani, immersi nella tenebra,
s’avanza ora una piccola folla: a guidarla è Giuda
«uno dei Dodici», un discepolo di Gesù. Nel racconto di
Luca egli non pronuncia neppure una parola, è solo una
presenza gelida. Sembra quasi che non riesca del tutto ad
accostarsi al viso di Gesù per baciarlo, fermato
dall’unica voce che risuona, quella di Cristo:
«Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?».
Sono parole dolenti ma ferme che svelano il groviglio
maligno che si annida nel cuore agitato e indurito del
discepolo, forse illuso e deluso e tra poco disperato.
Quel tradimento e quel bacio sono diventati nei secoli il
simbolo di tutte le infedeltà, di tutte le apostasie, di
tutti gli inganni. Cristo, dunque, incontra un’altra
prova, quella del tradimento che genera abbandono e
isolamento. Non è la solitudine a lui cara, quando si
ritirava sui monti a pregare, non è la solitudine interiore
sorgente di pace e di quiete perché con essa ci si affaccia
sul mistero dell’anima e di Dio. E', invece,
l’esperienza aspra di tante persone che anche in
quest’ora che ci vede riuniti, come in altri momenti
del giorno, sono sole in una stanza, davanti a una parete
spoglia o a un telefono muto, dimenticati da tutti perché
vecchi, malati, stranieri o estranei. Gesù beve con loro
anche questo calice che contiene il veleno
dell’abbandono, della solitudine,
dell’ostilità.
La scena del Getsemani si è, quindi, animata: al precedente
quadro solenne, intimo e silenzioso della preghiera, si
oppone ora, sotto gli ulivi, il frastuono, il tumulto e
persino la violenza. Gesù si erge, però, sempre al centro
come un punto fermo. Egli è consapevole che il male avvolge
la storia umana col suo sudario di prepotenza, di
aggressione, di brutalità: «Questa è la vostra ora, è
l’impero delle tenebre».
Cristo non vuole che i discepoli, pronti a metter mano alla
spada, reagiscano al male col male, alla violenza con altra
violenza. Egli è certo che il potere delle tenebre —
apparentemente invincibile e mai sazio di trionfi — è
destinato a essere piegato. Alla notte, infatti, succederà
l’alba, all’oscurità la luce, al tradimento il
pentimento, anche per Giuda. E' per questo che, nonostante
tutto, bisogna continuare a sperare e ad amare. Come lo
stesso Gesù aveva insegnato sul monte delle Beatitudini,
per avere un mondo nuovo e diverso, è necessario «amare i
nostri nemici e pregare per quelli che ci perseguitano».(5)
(5) Matteo 5, 44.
TERZA STAZIONE - Gesù è condannato dal Sinedrio
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 66-71
Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del
popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero
davanti al sinedrio e gli dissero: «Se tu sei il Cristo,
diccelo». Gesù rispose: «Anche se ve lo dico, non mi
crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da
questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla
destra della potenza di Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu
dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite
voi stessi: io lo sono». Risposero: «Che bisogno abbiamo
ancora di testimonianza? L’abbiamo udito noi stessi
dalla sua bocca».
MEDITAZIONE
Il sole del venerdì santo si sta affacciando dietro il
monte degli Ulivi, dopo aver rischiarato le valli del
deserto di Giuda. I settantuno membri del Sinedrio, la
massima istituzione ebraica, sono riuniti a semicerchio
attorno a Gesù. Si sta per aprire l’udienza che
comprende la consueta procedura delle assisi giudiziarie:
il controllo dell’identità, i capi di imputazione, le
testimonianze. Il giudizio è di natura religiosa secondo le
competenze di quel tribunale, come appare anche nelle due
domande capitali: «Sei tu il Cristo?... Sei tu il Figlio di
Dio?».
La risposta di Gesù parte da una premessa quasi
scoraggiata: «Anche se lo dico, non mi crederete; se vi
interrogo, non mi risponderete». Egli sa, dunque, che in
agguato c’è l’incomprensione, il sospetto,
l’equivoco. Egli sente attorno a sé una fredda
cortina di diffidenza e di ostilità, ancor più opprimente
perché essa è eretta contro di lui dalla sua stessa
comunità religiosa e nazionale. Già il Salmista aveva
provato questa delusione: «Se mi avesse insultato un
nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro
di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu,
mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce
amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa».(6)
Eppure, nonostante quell’incomprensione, Gesù non
esita a proclamare il mistero che è in lui e che da quel
momento sta per essere svelato come in un’epifania.
Ricorrendo al linguaggio delle Scritture Sacre, egli si
presenta come «il Figlio dell’uomo seduto alla destra
della potenza di Dio». E' la gloria messianica, attesa da
Israele, che ora si manifesta in questo condannato. Anzi, è
il Figlio di Dio che paradossalmente si presenta rivestito
ora delle spoglie di un imputato. La risposta di Gesù
— «Io lo sono» —, a prima vista simile alla
confessione di un condannato, diventa in realtà una
professione solenne di divinità. Per la Bibbia, infatti,
«Io sono» è il nome e l’appellativo di Dio stesso.(7)
- L’imputazione, che produrrà una sentenza di morte,
diventa così una rivelazione e diviene anche la nostra
professione di fede nel Cristo, Figlio di Dio.
Quell’imputato, umiliato dalla corte impettita,
dall’aula sontuosa, da un giudizio ormai siglato,
ricorda a tutti il dovere della testimonianza alla verità.
Una testimonianza da far risuonare anche quando forte è la
tentazione di celarsi, di rassegnarsi, di lasciarsi
condurre alla deriva dall’opinione dominante. Come
dichiarava una giovane donna ebrea destinata ad essere
uccisa in un lager,(8)«a ogni nuovo orrore o crimine
dobbiamo opporre un nuovo frammento di verità e di bontà
che abbiamo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire,
ma non dobbiamo soccombere ».
(6) Salmo 55 (54), 13-15.
(7) Cf. Esodo 3, 14.
(8) Etty Hillesum, Diario 1941-1943 (3 luglio 1943)
QUARTA STAZIONE - Gesù è rinnegato da Pietro
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 54-62
Dopo averlo preso, condussero via Gesù e lo fecero entrare
nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da
lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al
cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette
in mezzo a loro. Vedutolo seduto presso la fiamma, una
serva fissandolo disse: «Anche questi era con lui». Ma egli
negò dicendo: «Donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro
lo vide e disse: «Anche tu sei di loro!». Ma Pietro
rispose: «No, non lo sono!». Passata circa un’ora, un
altro insisteva: «In verità, anche questo era con lui; è
anche lui un Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so
quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora
parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi,
guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il
Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi
rinnegherai tre volte». E, uscito, pianse amaramente.
MEDITAZIONE
Ritorniamo di nuovo nella notte che avevamo lasciato alle
spalle entrando nell’aula del primo processo subito
da Gesù. L’oscurità e il freddo sono squarciati dalle
fiamme di un braciere collocato nel cortile del palazzo del
Sinedrio. Il personale di servizio e di custodia tende le
mani verso quel tepore; i visi sono illuminati. Ed ecco
levarsi tre voci in successione, tre mani puntarsi verso un
volto riconosciuto, quello di Pietro.
La prima è una voce femminile. E' una domestica del palazzo
che fissa negli occhi il discepolo ed esclama: «Eri anche
tu con Gesù!». Subentra poi una voce maschile: «Sei dei
loro!». E' ancora un uomo a ribadire più tardi la stessa
accusa, notando l’accento settentrionale di Pietro:
«Eri con lui!». A queste denunce, quasi in un crescendo
disperato di autodifesa, l’apostolo non esita per tre
volte a spergiurare: «Non conosco Gesù! Non sono un suo
discepolo! Non so quello che dite!». La luce di quel
braciere penetra, dunque, ben oltre il volto di Pietro,
svela un’anima meschina, la sua fragilità,
l’egoismo, la paura. Eppure poche ore prima egli
aveva proclamato: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io
no!... Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò!».
(9)
Il sipario, però, non cala su questo tradimento, come
invece era accaduto a Giuda. C’è, infatti, in quella
notte uno squillo che lacera il silenzio di Gerusalemme ma
soprattutto la coscienza di Pietro: è il canto di un gallo.
Proprio in quel momento Gesù sta uscendo dall’assise
giudiziaria che l’ha condannato. Luca descrive
l’incrocio degli sguardi tra Cristo e Pietro e lo fa
usando un verbo greco che indica il fissare in profondità
un viso. Ma, come nota l’evangelista, non è un uomo
qualsiasi che ora guarda l’altro, è «il Signore», i
cui occhi scrutano cuore e reni, cioè il segreto intimo di
un’anima.
E dagli occhi dell’apostolo scendono le lacrime del
pentimento. Nella sua vicenda si condensano tante storie di
infedeltà e di conversione, di debolezza e di liberazione.
«Ho pianto e ho creduto!»: così, con questi due soli verbi,
secoli dopo, un convertito (10) accosterà la sua esperienza
a quella di Pietro, dando voce anche a tutti noi che ogni
giorno consumiamo piccoli tradimenti, proteggendoci dietro
giustificazioni meschine, lasciandoci possedere da paure
vili. Ma, come per l’apostolo, anche per noi è aperta
la strada dell’incontro con lo sguardo di Cristo che
ci affida lo stesso impegno: anche tu, «una volta
ravveduto, conferma i tuoi fratelli!».(11)
(9) Marco 14, 29.31.
(10) François-René de Chateaubriand, Il genio del
Cristianesimo (1802).
(11) Luca 22, 32.
QUINTA STAZIONE - Gesù è giudicato da Pilato
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 13-25
Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo,
disse: «Mi avete portato quest’uomo come sobillatore
del popolo; ecco, l’ho esaminato davanti a voi, ma
non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo
accusate; e neanche Erode, infatti ce l’ha rimandato.
Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò,
dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò». Ma essi
si misero a gridare tutti insieme: «A morte costui! Dacci
libero Barabba!». Questi era stato messo in carcere per una
sommossa scoppiata in città e per omicidio. Pilato parlò
loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano:
«Crocifiggilo, crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta,
disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato
nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente
e poi lo rilascerò». Essi però insistevano a gran voce,
chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida
crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta
fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in
carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e
abbandonò Gesù alla loro volontà.
MEDITAZIONE
Gesù è ora tra le insegne imperiali, i vessilli, le aquile
e i labari dell’autorità romana, all’interno di
un altro palazzo del potere, quello del governatore Ponzio
Pilato, un nome marginale e dimenticato nella storia
dell’impero di Roma. Eppure è un nome che risuona
ogni domenica in tutto il mondo, proprio a causa di quel
processo che ora si sta celebrando: i cristiani, infatti,
nel Credo proclamano che Cristo «fu crocifisso sotto Ponzio
Pilato». Da un lato, egli incarna a prima vista la
brutalità repressiva, tant’è vero che Luca rievoca,
in una pagina del suo Vangelo, quel giorno in cui non aveva
esitato a mescolare nel tempio il sangue ebreo con quello
degli animali sacrificali.(12) A lui si accosta anche un
altro potere oscuro e impalpabile: è la forza feroce delle
masse, manipolate dalle strategie dei poteri occulti che
tramano nell’ombra. Il risultato è nella scelta di
graziare un ribelle omicida, Barabba.
D’altro lato, però, affiora un diverso profilo di
Pilato: egli sembra rappresentare la tradizionale equità e
imparzialità del diritto romano. Per ben tre volte,
infatti, Pilato tenta di proporre l’assoluzione di
Gesù per insufficienza di prove, comminando al massimo la
sanzione disciplinare della flagellazione. L’accusa,
infatti, non reggeva a un serio vaglio processuale. Come
ribadiscono tutti gli evangelisti, Pilato rivela, quindi,
una certa apertura d’animo, una disponibilità che
però progressivamente si scolora e si spegne.
Sotto la pressione dell’opinione pubblica Pilato
incarna, allora, un atteggiamento che sembra dominare nei
nostri giorni, quello dell’indifferenza, del
disinteresse, della convenienza personale. Per quieto
vivere e per proprio vantaggio, non si esita a calpestare
verità e giustizia. L’immoralità esplicita genera
almeno un sussulto o una reazione; questa è, invece, pura
amoralità che paralizza la coscienza, estingue il rimorso e
ottunde la mente. L’indifferenza è la morte lenta
della vera umanità.
L’esito è nella scelta finale di Pilato. Come
dicevano gli antichi latini, una giustizia ipocrita e
apatica diventa simile a una ragnatela nella quale
incappano e muoiono i moscerini ma che gli uccelli
squarciano con la forza del loro volo. Gesù, che è uno dei
piccoli della terra, senza poter emettere una parola, è
soffocato da questa rete. E come spesso facciamo anche noi,
Pilato guarda dall’altra parte, se ne lava le mani e
come alibi lancia — secondo l’evangelista
Giovanni (13) — l’eterna domanda tipica di ogni
scetticismo e di ogni relativismo etico: «Che cos’è
mai la verità?».
(12) Cf. Luca 13, 1.
(13) Giovanni 18, 38
SESTA STAZIONE - Gesù è flagellato e coronato di spine
Dal Vangelo secondo Luca. 22, 63-65
Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo
schernivano e lo percuotevano, lo bendavano e gli dicevano:
«Indovina: chi ti ha colpito?». E molti altri insulti
dicevano contro di lui.
Dal Vangelo secondo Giovanni. 19, 2-3
I soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero
sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora;
quindi gli venivano davanti e gli dicevano: «Salve, re dei
Giudei!». E gli davano schiaffi.
MEDITAZIONE
Un giorno, mentre camminava nella valle del Giordano non
lontano da Gerico, Gesù s’era fermato e ai Dodici
aveva detto parole roventi e ai loro orecchi indecifrabili:
«Ecco noi andiamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo
sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto
di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno.. ».(14)
Ora quelle parole sciolgono il loro enigma: nel cortile del
pretorio, la sede gerosolimitana del governatore romano,
inizia il lugubre rituale della tortura, accompagnato
all’esterno del palazzo dal rumoreggiare della folla
che attende lo spettacolo del corteo dell’esecuzione
capitale.
In quello spazio vietato al pubblico si consuma un gesto
che sarà ripetuto nei secoli in mille forme sadiche e
perverse, nelle oscurità di tante celle. Gesù non è solo
percosso ma è anche umiliato. Anzi, l’evangelista
Luca per definire quegli insulti usa il verbo
«bestemmiare», svelando in modo allusivo il significato
profondo di quello sfogo delle guardie che si accaniscono
sulla vittima. Ma allo strazio della carne di Cristo si
associa anche uno sfregio alla sua dignità personale
attraverso una farsa macabra.
E' l’evangelista Giovanni a rievocare
quell’atto sarcastico, ritmato su un gioco popolare,
quello del re da burla. Ecco, infatti, una corona i cui
raggi sono fatti di rametti spinosi; ecco la porpora regale
sostituita da un mantello rosso; ecco il saluto imperiale
dell’«Ave, Cesare!». Eppure, in dissolvenza a questa
beffa si può intravedere un segno glorioso: sì, Gesù è
umiliato come re da scherzo; ma in realtà egli è il vero
sovrano della storia.
Quando alla fine si svelerà la sua regalità —come ci
ricorda un altro evangelista, Matteo (15) — egli
condannerà tutti i torturatori e gli oppressori e
introdurrà nella gloria non solo le vittime ma anche tutti
coloro che avranno visitato chi era in carcere, curato i
feriti e i sofferenti, sostenuto gli affamati, gli assetati
e i perseguitati. Ora, però, il volto trasfigurato apparso
sul Tabor (16) è sfigurato; colui che è
«l’irradiazione della gloria divina» (17) è oscurato
e umiliato; come aveva annunziato Isaia, il Servo
messianico del Signore ha il dorso solcato dai flagelli, la
barba strappata dalle guance, il viso rigato di sputi. (18)
In lui, che è il Dio della gloria, è presente anche la
nostra umanità dolente; in lui, che è il Signore della
storia, si rivela la vulnerabilità delle creature; in lui
che è il Creatore del mondo, si condensa il respiro di
dolore di tutti gli esseri viventi.
(14) Luca 18, 31-32.
(15) Cf. Matteo 25, 31-46.
(16) Cf. Luca 9, 29.
(17) Ebrei 1, 3.
(18) Cf. Isaia 50, 6.
SETTIMA STAZIONE - Gesù è caricato della Croce
Dal Vangelo secondo Marco. 15, 20
Dopo averlo schernito, spogliarono Gesù della porpora e gli
rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per
crocifiggerlo.
MEDITAZIONE
Nei cortili del palazzo imperiale è finita la festa
macabra; cadono le spoglie di quel ridicolo abbigliamento
regale, si spalanca il portale. Ecco avanzare Gesù coi suoi
vestiti abituali, con la sua tunica «senza cuciture,
tessuta d’un pezzo da cima a fondo».(19) Sulle sue
spalle poggia la trave orizzontale, destinata ad accogliere
le sue braccia, quando essa sarà stata fissata sul palo
della crocifissione. La sua è una presenza muta, le sue
orme sanguinano su quella strada che ancor oggi a
Gerusalemme reca il nome di «Via dolorosa».
Ha ora inizio in senso stretto la Via Crucis, quel percorso
che anche stasera si ripete e che tende verso il colle
delle esecuzioni capitali, fuori le mura della città santa.
Gesù avanza e vacilla sotto quel peso e per la debolezza
del suo corpo ferito. La tradizione ha voluto
simbolicamente costellare quell’itinerario di tre
cadute. In esse si ha la vicenda infinita di tante donne e
uomini prostrati nella miseria o nella fame: sono bambini
gracili, vecchi sfiniti, poveri debilitati dalle cui vene è
stata succhiata ogni energia.
In quelle cadute c’è anche la storia di tutte le
persone desolate nell’anima e infelici, ignorate
dalla frenesia e dalla distrazione di chi passa accanto. In
Cristo piegato sotto la croce c’è l’umanità
malata e debole che, come affermava il profeta Isaia,(20)
«prostrata parla da terra e dalla polvere salgono fioche le
sue parole; sembra di un fantasma la sua voce dalla terra,
e dalla polvere la sua parola risuona come un bisbiglio».
Anche oggi, come allora, attorno a Gesù che si alza e
avanza reggendo il legno della croce, si svolge la vita
quotidiana della strada, segnata dagli affari, dalle
vetrine scintillanti, dalla ricerca del piacere. Eppure
attorno a lui non c’è solo ostilità o indifferenza.
Sui suoi passi si muovono oggi anche coloro che hanno
scelto di seguirlo. Essi hanno ascoltato l’appello
che un giorno egli aveva lanciato passando tra i campi
della Galilea: «Se qualcuno vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi
segua» (21) «Usciamo, allora, anche noi
dall’accampamento e andiamo verso di lui portando il
suo obbrobrio».(22) Al termine della Via dolorosa non
c’è solo il colle della morte o il baratro del
sepolcro ma anche il monte dell’ascensione gloriosa e
della luce.
(19) Giovanni 19, 23.
(20) Isaia 29, 4.
(21) Luca 9, 23.
(22) Ebrei 13, 13.
OTTAVA STAZIONE - Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la
Croce
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 26
Mentre conducevano via Gesù, presero un certo Simone di
Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la
croce da portare dietro a Gesù.
MEDITAZIONE
Tornava dalla campagna, forse dopo alcune ore di lavoro.
L’attendevano a casa i preparativi del giorno
festivo: al tramonto, infatti, si sarebbe aperta la
frontiera sacrale del sabato, scandita
dall’accendersi delle prime stelle in cielo. Simone
era il suo nome; egli era un ebreo oriundo
dell’Africa, di Cirene, città che s’affacciava
sul litorale libico e che ospitava una folta comunità della
Diaspora giudaica.(23) Un ordine secco della pattuglia
romana che scorta Gesù lo ferma e lo costringe a reggere
per un tratto di strada il patibolo di quel condannato
sfinito.
Simone era passato di là per caso; non sapeva che
quell’incontro sarebbe stato straordinario. Come è
stato scritto,(24) «quanti uomini nei secoli avrebbero
voluto essere lì, al suo posto, essere passati di lì giusto
in quel momento. Ma ormai era troppo tardi, era lui che era
passato ed egli nei secoli non avrebbe mai ceduto il suo
posto ad altri». E' il mistero dell’incontro con Dio
che attraversa all’improvviso tante vite. Paolo,
l’apostolo, era stato intercettato, «afferrato e
conquistato» (25) da Cristo sulla via di Damasco. E' per
questo che aveva poi ripreso da Isaia quelle sorprendenti
parole di Dio: «Io mi sono fatto trovare anche da quelli
che non mi cercavano, mi sono manifestato anche a quelli
che non si rivolgevano a me».(26)
Dio è in agguato sui sentieri della nostra esistenza
quotidiana. E' lui che talora bussa alle nostre porte
chiedendo un posto alle nostre mense per cenare con
noi.(27) Persino un imprevisto, come quello che aveva
incrociato la vita di Simone di Cirene, può diventare un
dono di conversione, tant’è vero che
l’evangelista Marco citerà i nomi dei figli di
quell’uomo divenuti cristiani, Alessandro e Rufo.(28)
Il Cireneo è, così, l’emblema del misterioso
abbraccio tra la grazia divina e l’opera umana. Alla
fine, infatti, l’evangelista lo rappresenta come il
discepolo che «porta la croce dietro a Gesù», seguendone le
orme.(29)
Il suo gesto, da esecuzione forzata, si trasforma
idealmente in un simbolo di tutti gli atti di solidarietà
per i sofferenti, gli oppressi e gli affaticati. Il Cireneo
rappresenta, così, l’immensa schiera delle persone
generose, dei missionari, dei Samaritani che non «passano
oltre dall’altra parte» della strada,(30) ma si
chinano sui miseri caricandoli su di sé per sostenerli. Sul
capo e sulle spalle di Simone, curve sotto il peso della
croce, echeggiano, allora, le parole di san Paolo: «Portate
i pesi gli uni degli altri perché così adempirete la legge
di Cristo».(31)
(23) Cf. Atti 2, 10; 6, 9; 13, 1.
(24) Charles Péguy, Il Mistero della carità di santa
Giovanna d’Arco (1910).
(25) Filippesi 3, 12.
(26) Romani 10, 20.
(27) Cf. Apocalisse 3, 20.
(28) Cf. Marco 15, 21.
(29) Cf. Luca 9, 23.
(30) Cf. Luca 10, 30-37.
(31) Galati 6, 2.
NONA STAZIONE - Gesù incontra le donne di Gerusalemme
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 27-31
Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si
battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù,
voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme,
non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui
vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà:
Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le
mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a
dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci!
Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del
legno secco?».
MEDITAZIONE
In quel venerdì di primavera, sulla via che conduceva al
Golgota, non si assiepavano solo gli sfaccendati, i curiosi
e la gente ostile a Gesù. Ecco, infatti, anche un gruppo di
donne, forse appartenenti a una confraternita dedita al
conforto e al lamento rituale per i moribondi e i
condannati a morte. Cristo, durante la sua vita terrena,
superando convenzioni e pregiudizi, si era spesso
circondato di donne e aveva dialogato con loro, ascoltando
i loro drammi piccoli e grandi: dalla febbre della suocera
di Pietro alla tragedia della vedova di Nain, dalla
prostituta in lacrime al tormento interiore di Maria di
Magdala, dall’affetto di Marta e Maria alle
sofferenze della donna colpita da emorragia, dalla giovane
figlia di Giairo all’anziana curva, dalla nobildonna
Giovanna di Cusa alla vedova indigente e alle figure
femminili della folla che lo seguiva.
Attorno a Gesù, fino all’ultima sua ora, si stringe
dunque un mondo di madri, di figlie e di sorelle. Accanto a
lui noi ora immaginiamo anche tutte le donne umiliate e
violentate, quelle emarginate e sottoposte a pratiche
tribali indegne, le donne in crisi e sole di fronte alla
loro maternità, le madri ebree e palestinesi e quelle di
tutte le terre in guerra, le vedove o le anziane
dimenticate dai loro figli... E' una lunga teoria di donne
che testimoniano a un mondo arido e impietoso il dono della
tenerezza e della commozione, come fecero per il figlio di
Maria in quella tarda mattinata gerosolimitana. Esse ci
insegnano la bellezza dei sentimenti: non ci si deve
vergognare se il cuore accelera i battiti nella
compassione, se talora affiorano sulle ciglia le lacrime,
se si sente il bisogno di una carezza e di una
consolazione.
Gesù non ignora le attenzioni caritatevoli di quelle donne,
come un tempo aveva accolto altri gesti delicati. Ma
paradossalmente ora è lui a interessarsi delle sofferenze
che incombono su quelle «figlie di Gerusalemme»: «Non
piangete su di me, ma su voi stesse e sui vostri figli!».
C’è, infatti, all’orizzonte un incendio che sta
per abbattersi sul popolo e sulla città santa, «un legno
secco» pronto ad attizzare il fuoco.
Lo sguardo di Gesù corre verso il futuro giudizio divino
sul male, sull’ingiustizia, sull’odio che
stanno alimentando quella fiamma. Cristo si commuove per il
dolore che sta piombando su quelle madri quando irromperà
nella storia l’intervento giusto di Dio. Ma le sue
parole frementi non suggellano un esito disperato perché la
sua è la voce dei profeti, una voce che genera non agonia e
morte ma conversione e vita: «Cercate il Signore e
vivrete... Allora si allieterà la vergine alla danza,
giovani e vecchi gioiranno insieme. Io cambierò il loro
lutto in gioia, li consolerò e li renderò felici».(32)
(32) Amos 5, 6; Geremia 31, 13.
DECIMA STAZIONE - Gesù è crocifisso
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 33-38
Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui
e i due malfattori, uno a destra e l’altro a
sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno
quello che fanno». Dopo essersi poi divise le sue vesti, le
tirarono a sorte.
Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano
dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il
Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo
schernivano, e gli si accostavano per porgergli
dell’aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei,
salva te stesso». C’era anche una scritta, sopra il
suo capo: Questi è il re dei Giudei.
MEDITAZIONE
Era solo uno sperone roccioso denominato in aramaico
Golgota, in latino Calvario, cioè «Cranio», forse per la
sua configurazione fisica. Su quel picco si levano tre
croci di condannati a morte, due «malfattori»,
probabilmente rivoluzionari antiromani, e Gesù. Iniziano a
scorrere le ultime ore della vita terrena di Cristo, ore
segnate dalla lacerazione delle carni, dalla slogatura
delle ossa, dall’asfissia progressiva, dalla
desolazione interiore. Sono le ore che attestano la piena
fraternità del Figlio di Dio con l’uomo che patisce,
agonizza e muore.
Cantava un poeta: (33) «Il ladrone di sinistra e il ladrone
di destra / non sentivano che i chiodi nel cavo della mano.
/ Cristo, invece, sentiva il dolore dato per la salvezza, /
il fianco trafitto, il cuore trapassato. / E' il cuore che
gli bruciava. / Il cuore divorato d’amore». Sì,
perché attorno a quel patibolo sembra risuonare la voce di
Isaia: «Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà
salvezza si è abbattuto su di lui: per le sue piaghe noi
siamo stati guariti. Egli offrirà se stesso in espiazione».
(34) Le braccia allargate di quel corpo martoriato vogliono
stringere a sé l’intero orizzonte, abbracciando
l’umanità, quasi «come una chioccia che raccoglie la
sua covata sotto le ali». (35) Era questa, infatti, la sua
missione: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti
a me».(36)
Sotto quel corpo agonizzante sfila la folla che vuole
«vedere» uno spettacolo macabro. E' il ritratto della
superficialità, della curiosità banale, della ricerca di
emozioni forti. Un ritratto nel quale si può identificare
anche una società come la nostra che sceglie la
provocazione e l’eccesso quasi come una droga per
eccitare un’anima ormai intorpidita, un cuore
insensibile, una mente offuscata.
Sotto quella croce c’è anche la crudeltà pura e dura,
quella dei capi e dei soldati che non conoscono pietà e
riescono a profanare persino la sofferenza e la morte con
lo scherno: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!».
Essi non sanno che proprio le loro parole sarcastiche e la
scritta ufficiale eretta sulla croce — «Questi è il
re dei Giudei» — dicono una verità. Certo, Gesù non
scende dalla croce con un colpo di scena: egli non vuole
adesioni servili e fondate sul prodigioso ma una fede
libera e un amore autentico. Eppure, proprio attraverso la
sconfitta della sua umiliazione e l’impotenza della
morte, egli apre la porta della gloria e della vita,
rivelandosi il vero Signore e Re della storia e del mondo.
(33) Charles Péguy, Il mistero della carità di santa
Giovanna d’Arco (1910).
(34) Isaia 53, 5.10.
(35) Luca 13, 34.
(36) Giovanni 12, 32.
UNDICESIMA STAZIONE - Gesù promette il suo Regno al buon
ladrone
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 39-43
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei
tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma
l’altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di
Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché
riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non
ha fatto nulla di male». E aggiunse: « Gesù, ricordati di
me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: « In verità
ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
MEDITAZIONE
Scorrono i minuti dell’agonia e l’energia
vitale di Gesù crocifisso si sta lentamente attenuando.
Eppure egli ha ancora la forza per un ultimo atto
d’amore nei confronti di uno dei due condannati alla
pena capitale che gli stanno accanto in quegli istanti
tragici, mentre il sole è ancora alto in cielo. Tra Cristo
e quell’uomo scorre un esile dialogo, affidato a due
frasi essenziali.
Da un lato, c’è l’appello del malfattore,
divenuto nella tradizione «il buon ladrone», il convertito
nell’ora estrema della sua vita: «Gesù, ricordati di
me quando entrerai nel tuo Regno!». In un certo senso è
come se quell’uomo recitasse una personale versione
del «Padre nostro» e dell’invocazione: «Venga il tuo
Regno!». Egli, però, la indirizza direttamente a Gesù,
chiamandolo per nome, un nome dal significato illuminante
in quell’istante: «Il Signore salva». C’è, poi,
quell’imperativo: «Ricordati di me!». Nel linguaggio
della Bibbia questo verbo ha una forza particolare che non
corrisponde al nostro pallido «ricordo». E' una parola di
certezza e di fiducia, quasi a dire: «Prenditi cura di me,
non abbandonarmi, sii come l’amico che sostiene e
sorregge!». D’altro lato, ecco la risposta di Gesù,
brevissima, simile a un soffio: «Oggi sarai con me nel
paradiso». Questa parola «paradiso», così rara nelle
Scritture tanto da risuonare solo due altre volte nel Nuovo
Testamento,(37) nel suo significato originario evoca un
giardino fertile e fiorito. E' un’immagine fragrante
di quel Regno di luce e di pace che Gesù aveva annunziato
nella sua predicazione, che aveva inaugurato coi suoi
miracoli e che avrà tra poco un’epifania gloriosa
nella Pasqua. E' la meta del nostro cammino faticoso nella
storia, è la pienezza della vita, è l’intimità
dell’abbraccio con Dio. E' l’ultimo dono che
Cristo ci fa, proprio attraverso il sacrificio della sua
morte che si apre alla gloria della risurrezione.
Null’altro si dissero in quel giorno di angoscia e di
dolore i due crocifissi, ma quelle poche parole pronunziate
con fatica dalle loro gole riarse risuonano ancora oggi e
riecheggiano sempre come un segno di fiducia e di salvezza
per chi ha peccato ma ha anche creduto e sperato, sia pure
alla frontiera estrema della vita.
(37) Cf. 2 Corinzi 12, 4; Apocalisse 2, 7.
DODICESIMA STAZIONE - Gesù in Croce, la Madre e il
discepolo
Dal Vangelo secondo Giovanni. 19, 25-27
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di
sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora,
vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli
amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi
disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento
il discepolo la prese nella sua casa.
MEDITAZIONE
Aveva cominciato a distaccarsi da quel Figlio fin dal
giorno in cui, a dodici anni, egli le aveva detto di avere
un’altra casa e un’altra missione da compiere,
in nome del suo Padre celeste. Ora, però, per Maria è
giunto il momento del distacco supremo. In quell’ora
c’è lo strazio di ogni madre che vede ribaltata la
logica stessa della natura per la quale sono le mamme a
morire per prime rispetto alle loro creature. Ma
l’evangelista Giovanni cancella ogni lacrima da quel
volto addolorato, spegne ogni urlo su quelle labbra, non fa
prostrare a terra Maria nella disperazione.
Anzi, c’è un alone di silenzio che è infranto da una
voce che scende dalla croce e dal viso torturato del Figlio
morente. E' ben più di un testamento familiare: è una
rivelazione che segna una svolta nella vita della Madre.
Quel distacco estremo nella morte non è sterile ma ha una
fecondità inattesa simile al parto di una mamma. Proprio
come aveva annunziato lo stesso Gesù poche ore prima,
nell’ultima sera della sua esistenza terrena: «La
donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la
sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si
ricorda più del dolore per la gioia che è venuto al mondo
un uomo».(38)
Maria torna ad essere madre: non per nulla nelle poche
righe di questo racconto evangelico per ben cinque volte
echeggia la parola «madre». Maria torna, dunque, ad essere
madre e i suoi figli saranno tutti coloro che sono come «il
discepolo amato», cioè tutti coloro che si pongono sotto il
manto della grazia salvatrice divina e che seguono Cristo
nella fede e nell’amore.
Da quell’istante Maria non sarà più sola, diverrà la
madre della Chiesa, un popolo immenso di ogni lingua,
popolo e stirpe che nei secoli si stringerà con lei attorno
alla croce di Cristo, il suo primogenito. Da quel momento
anche noi camminiamo con lei sulle strade della fede, ci
troviamo con lei nella casa ove soffia lo Spirito della
Pentecoste, ci sediamo alla mensa ove si spezza il pane
dell’Eucaristia e attendiamo il giorno in cui il suo
Figlio tornerà per condurci come lei nell’eternità
della sua gloria.
(38) Giovanni 16, 21.
TREDICESIMA STAZIONE - Gesù muore sulla Croce
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 44-47
Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece
buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il
velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a
gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio
spirito». Detto questo spirò. Visto ciò che era accaduto,
il centurione glorificava Dio: «Veramente quest’uomo
era giusto».
MEDITAZIONE
All’inizio del nostro itinerario era il velo della
notte ad avvolgere il Getsemani; ora è il buio di
un’eclisse a stendersi come un sudario sul Golgota.
L’«impero delle tenebre» (39) sembra, dunque,
sovrastare la terra ove Dio muore. Sì, il Figlio di Dio,
per essere veramente uomo e nostro fratello, deve bere
anche il calice della morte, quella morte che è la reale
carta d’identità di tutti i figli di Adamo. E' così
che Cristo «si rende in tutto simile ai fratelli»,(40)
diventa pienamente uno di noi, presente con noi anche in
quell’estrema agonia tra vita e morte.
Un’agonia che si ripete forse anche in questi minuti
per un uomo o una donna qui a Roma e in tante altre città e
villaggi del mondo.
Non è più il Dio greco-romano impassibile e remoto come un
imperatore relegato nei cieli dorati del suo Olimpo. In
Cristo che muore si rivela ora il Dio appassionato,
innamorato delle sue creature fino al punto di
imprigionarsi liberamente nella loro frontiera di dolore e
di morte. E' per questo che il Crocifisso è un segno umano
universale della solitudine della morte e anche
dell’ingiustizia e del male. Ma è anche un segno
divino universale di speranza per le attese di ogni
centurione, cioè di ogni persona inquieta e in ricerca.
Infatti, anche quando è lassù, morente su quella forca,
mentre il suo respiro si spegne, Gesù non cessa di essere
il Figlio di Dio. In quel momento tutte le sofferenze e le
morti sono attraversate e possedute dalla divinità, sono
irradiate di eternità, in esse è deposto un seme di vita
immortale, brilla una scintilla di luce divina.
La morte, allora, pur non perdendo la sua tragicità, rivela
un volto inatteso, ha gli occhi stessi del Padre celeste.
E' per questo che Gesù in quell’ora estrema prega con
tenerezza: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
A quell’invocazione ci associamo anche noi attraverso
la voce poetica e orante di una donna scrittrice: (41)
«Padre, anche a me le tue dita chiudano le palpebre. / Tu
che mi sei Padre, volgiti a me anche come tenera Madre, /
al capezzale del suo bimbo che sogna. / Padre, volgiti a me
e accoglimi nelle tue braccia».
(39) Luca 22, 53.
(40) Ebrei 2, 17.
(41) Marie Noël, Le canzoni e le ore (1930).
QUATTORDICESIMA STAZIONE - Gesù è deposto nel sepolcro
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 50-54
C’era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio,
persona buona e giusta. Non aveva aderito alla decisione e
all’operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una
città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. Si presentò
a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo calò dalla croce, lo
avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata
nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto.
Era il giorno della Parascève e già splendevano le luci del
sabato.
MEDITAZIONE
Avvolto nel lenzuolo funerario, la «sindone», il corpo
crocifisso e martoriato di Gesù scivola lentamente dalle
mani pietose e amorose di Giuseppe d’Arimatea nel
sepolcro scavato nella roccia. Nelle ore di silenzio che
seguiranno, Cristo sarà veramente come tutti gli uomini che
entrano nel grembo oscuro della morte, della rigidità
cadaverica, della fine. Eppure c’è già in quel
crepuscolo del Venerdì Santo un fremito.
L’evangelista Luca nota che «splendevano ormai le
luci del sabato» dalle finestre delle case di Gerusalemme.
La veglia degli Ebrei nelle loro abitazioni diventa quasi
il simbolo dell’attesa di quelle donne e di quel
discepolo segreto di Gesù, Giuseppe d’Arimatea, e
degli altri discepoli. Un’attesa che ora pervade con
una tonalità nuova ogni cuore credente quando si trova
davanti a un sepolcro o anche quando sente ramificarsi
dentro di sé la mano fredda della malattia o della morte.
E' l’attesa di un’alba diversa, quella che tra
non molte ore, trascorso il sabato, apparirà davanti ai
nostri occhi di discepoli di Cristo.
In quell’aurora sulla strada delle tombe ci verrà
incontro l’angelo e ci dirà: «Perché cercate tra i
morti colui che è vivo? Non è qui! E' risuscitato!».(42) E
sulla strada del ritorno alle nostre case sarà allora il
Risorto ad accostarsi al nostro fianco, camminando con noi,
varcando le nostre soglie per essere ospitato alla nostra
mensa e spezzare il pane con noi.(43) Pregheremo, allora,
anche noi con le parole di fede di un passo della più
mirabile Passione secondo Matteo messa in musica e in canto
da uno dei più grandi musicisti dell’umanità: (44)
«Anche se il mio cuore è immerso nelle lacrime perché Gesù
prende congedo da me, il suo testamento mi dà gioia: egli
lascia nelle mie mani un tesoro senza prezzo, la sua carne
e il suo sangue... Voglio donarti il mio cuore perché tu vi
discenda, mio Salvatore! Voglio sprofondarmi in te! Se il
mondo è per te troppo piccolo, allora tu solo devi essere
per me più del mondo e più del cielo!».
(42) Luca 24, 5-6.
(43) Cf. Luca 24, 13-32.
(44) Johann Sebastian Bach, Passione secondo Matteo, BWV
244, nn. 18-19.
Il Santo Padre rivolge la sua parola ai presenti.
Al termine del discorso il Santo Padre imparte la
Benedizione Apostolica:
BENEDIZIONE
V/. Dominus vobiscum.
R/. Et cum spiritu tuo.
V/. Sit nomen Domini benedictum.
R/. Ex hoc nunc et usque in sæculum.
V/. Adiutorium nostrum in nomine Domini.
R/. Qui fecit cælum et terram.
V/. Benedicat vos omnipotens Deus,
Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
R/. Amen.