LA
CHIESA E GLI ATEI DEVOTI
Articolo di Gad Lerner
La Repubblica – Martedì 8 gennaio 2008
Come si innesca una mobilitazione della Chiesa
nell’Italia del 2008? E’ evidente che siamo in
presenza di un fatto nuovo, meritevole di una riflessione
scevra da intenti polemici.
Il direttore del Foglio Giuliano Ferrara, mutuando i codici
di mobilitazione e il linguaggio radicale, promuove
l’idea di una moratoria sull’aborto,
finalizzandola a un raduno mondiale da tenersi a Roma la
prossima primavera. La vastità inaspettata delle adesioni
cattoliche alla proposta di Ferrara sollecita il cardinale
Ruini a farla propria, integrandola di suo con
l’invito a modificare la legge 194. Più cauta segue
la benedizione del presidente della Cei Card. Angelo
Bagnasco. Avvenire sostiene appassionatamente
l’iniziativa. Famiglia cristiana pubblica un
editoriale di appoggio. Infine manifesta il suo consenso lo
stesso Benedetto XVI, pur evitando l’ambiguo
sillogismo fra la moratoria sulla pena di morte decisa
dall’Onu e la moratoria sull’interruzione di
gravidanza proposta dagli antiabortisti.
La dinamica dei fatti esclude che siamo in presenza di una
campagna congegnata e pianificata d’intesa con i
vertici della Chiesa. Segnala piuttosto un salto di qualità
nel rapporto da essa instaurato con il settore
dell’intellighentia che sbrigativamente ci siamo
abituati a definire “atei devoti”.
All’attacco è partito Ferrara, gli altri hanno deciso
di seguirlo, attribuendogli semmai una funzione
provvidenziale: la scissione del fronte laico.
L’incrinatura di quello che nella loro
semplificazione figura come “il pensiero unico”
progressista imbevuto di permissivismo e subalterno al
dominio di una tecnoscienza amorale.
Non importa qui tanto chiedersi se l’inedita
sollecitazione da cui ha preso le mosse la campagna
antiaborista riveli una forza o una debolezza della Chiesa
italiana, anche se a me pare evidente la risposta.
Limitiamoci a constatare: la gerarchia cattolica
attribuisce una funzione cruciale, strategica a personalità
non credenti, che propugnano i valori normativi della
dottrina religiosa su un piano di mera convenienza
razionale. A questi “atei devoti” la Chiesa non
propone un cammino di conversione. Chiede loro di
testimoniare che è possibile uniformarsi alle regole di
convivenza da essa prescritte, anche senza bisogno di
credere.
L’entusiasmo, l’ammirazione, la gratitudine
manifestati a Ferrara nelle centinaia di lettere che il
Foglio sta pubblicando, evidenziano un sentimento di
riscossa. Quasi che lo schieramento antiabortista di una
frazione di non credenti restituisse a quei cattolici l
perduta legittimità mondana. Questa è la sorpresa, questo è
il miracolo che attendevano. Nell’accezione di Ruini
un personaggio come Ferrara non va atteso come il figliol
prodigo, ma semmai riconosciuto quale moderno profeta
mediatico.
A questo punto la Chiesa sembra poco interessata al dialogo
fra sensibilità diverse. Le quali si fronteggiano sperando,
invano, di smascherare l’altrui incoerenza. Quanta
compassione dedichiamo ai condannati a morte? Quanta alle
vittime delle guerre? E alle vittime del terrorismo? E ai
morti di aids o di denutrizione? E sufficiente il nostro
scandalo per le morti sul lavoro? O come obietta Giuliano
Amato: gli antiaboristi potranno amare davvero gli embrioni
quanto i bambini, restando però distratti nei confronti dei
bambini emarginati?
Temo sia proprio sulla fatica della coerenza che non
riusciremo a comprenderci. Ne difettiamo tutti in gradi
diversi. Capita che gli uni ne siano tormentati, nella
personale responsabilità. Mentre altri denunciano proprio
questa umana debolezza come morbo curabile solo da una
terapia normativa a carattere religioso.
Così la relazione fra il dire e il fare passa in
secon’ordine, col declino della coerenza. La svaluta
pure questa Chiesa ridotta a minoranza sulle questioni
morali, che per recuperare centralità nella decisione
pubblica gradisce il soccorso degli atei devoti, e la
disponibilità intermittente di politici pronti a figurare
clericali senza neanche bisogno d’essere cristiani.
Che importa se agiscono per vocazione o per convenienza?
E’ col loro sostegno che la Chiesa s’illude di
rifondare l’identità nazionale e occidentale perduta.
Sarkozy proclama in Laterano le radici cristiane della
Francia prima di involarsi a Luxor con Carla Bruni? Questa
è la modernità del potere. Per lui è pronto un seggio nel
pantheon dei santi protettori, e pazienza se oltralpe gli
aborti non calano a differenza che in Italia.
Non c’è bisogno di giungere all’estremo di
Baget Bozzo che attribuisce a Berlusconi la funzione di
uomo della Provvidenza, salvatore della tradizione
cattolica minacciata dal dossettismo e dal prodismo. Basta
ricordare l’assenza del minimo imbarazzo nei vertici
della Cei, quando l’opposizione parlamentare alla
legge sui Dico fu guidata da politici divorziati e
conviventi, scatenati contro una larga parte del
cattolicesimo democratico.
Essenziale nell’impostazione di Ruini è che le
battaglie politico-culturali della Chiesa italiana figurino
sempre promosse d’intesa con la nuova frazione laica,
dunque motivate sul piano della razionalità anziché sul
piano dottrinale. Ecco perché è meglio se gli “atei
devoti” non si convertono. Il tempo in cui il
cristianesimo andava testimoniato innanzitutto nella
condotta di vita è sopravanzato dall’imperativo della
nuova alleanza mondana. Nessuno scandalo quindi se il
Foglio lancia l’offensiva, rivolgendo a chi dissente
l’accusa terribile di acquiescenza con “un
fenomeno mostruoso per quantità genocida”.
L’analogia suggestiva ma fuorviante fra moratoria
sulla pena di morte (che implica un divieto legale al boia
di Stato) e il dramma dell’aborto (che invece
richiama scelte individuali sempre ardue fra male minore e
male maggiore) ha già prodotto un effetto nefasto. Le donne
ne vengono retrocesse ed esautorate da primo soggetto
titolare di una responsabilità che in ogni caso ricade su
di loro. Rischia di venire travolta la stessa riflessione
già da tempo in corso fra i medici e le associazioni di
sostegno alla maternità: un confronto pacato esente da
demonizzazioni reciproche, da cui sono scaturiti protocolli
terapeutici condivisi che tutelano il feto con possibilità
di vita autonoma.
A dare retta alla fotografia di un Italia dedita alla
pratica disinvolta dell’aborto, protesa nella ricerca
del superuomo e nella soppressione dei deboli, parrebbe che
l’esercizio di una rigorosa verifica etica sui poteri
della tecnoscienza e sui limiti da imporle, sia istanza
esclusiva degli antiaboristi. Ma per fortuna ciò è falso.
Rattrista la visione fosca di una società deragliata nella
ricerca del piacere sessuale e nell’appagamento
dell’io, da contrastare col senso del peccato e col
codice della famiglia tradizionale. Ma colpisce soprattutto
una Chiesa italiana talmente debole nella sua ispirazione
evangelica da mettersi al traino di un pensiero settario,
rinunciando al dialogo fiducioso con l’insieme del
mondo laico. Così tutto si tiene: il richiamo alla
tradizione, la critica dell’esperienza
post-conciliare, la reazione al terrorismo di matrice
islamica, la crisi delle vocazioni e della pratica
religiosa, il miraggio di una nuova leadership cristiana.
Una discussione libera sulle nuove frontiere della vita, e
sulle necessità di riformulare insieme i codici della
ricerca medico-scientifica, non trae alcun giovamento dalla
moratoria sull’aborto. Ma dubito anche che la Chiesa
stessa si vivifichi dall’investitura di eminenze
laiche.