OMELIA DI MONS. LUIGI GIUSSANI
FONDATORE DI COMUNIONE E LIBERAZIONE

AL FUNERALE DEL MAESTRO
GIOVANNI TESTORI

19 marzo 1993

Grazie! E’ in questa parola che si riassume tutto quanto – pensiero e sentimento – in noi freme e ribolle nel fissare la tua persona, che, grazie a Dio non ci verrà mai meno come compagnia per sempre. Grazie!
Lo dico a nome dei tuoi familiari con la mia voce stentata. Ti dico la gratitudine che hanno verso di te, per la tenerezza intensa e tenace che hai portato loro, visibile da tutti noi.

Grazie per i giovani! Quei giovani che tu hai incontrato, ed era un periodo di desolazione, un periodo di solitudine e quindi di scoraggiamento. Hai trovato dei giovani nei quali il male del mondo esisteva,eccome, come in ogni uomo. Ma tu hai saputo scoprire in essi la fuga di una trasparenza, come dicevi un giorno del quadro di Cèzanne, la Saint Victoire, quella montagna che sarebbe greve, se non fosse stata resa
trasparente ad una luce eccezionale, miracolosa. Così sei diventato padre di quei giovani, che nella sperdutezza hanno ritrovato un punto di riferimento, come tu hai trovato un punto di riferimento in loro, un punto di speranza in loro. “Sono venuti!” dicevi, e stranivi chi ti ascoltava. “Sono venuti!”. Ma chi? Questi accenti, questi accenni, queste sopravvivenze di speranza ai tuoi occhi e per il tuo cuore. E ti sei buttato con loro, e hai creato tutto con loro, li hai ricreati. Che grazie profondo ti dicono ora, in questo momento che è il più significativo per la tua vita, della tua vita terrena, perché è il momento che apre la tua vita senza fine, senza sponde.

Grazie anche da parte di tutti gli uomini a cui hai parlato e di cui hai parlato. Nel ‘Senso della nascita’ tu dicevi questa frase: “ogni uomo è una creazione di Dio, quindi la croce di ogni uomo è immensa anche nella meschinità, nelle sue titubanze, nelle sue vergogne e nei suoi tradimenti. L’uomo è un evento immenso”. Parlavi dunque di tutti gli uomini, accennando subito al denominatore comune per tutti – per te il più impressionante: a tal punto lo vivevi nella tua anima: il dolore. Anche il dolore banale, perché niente è meschino. Anzitutto però il dolore acuto, ben sperimentato da noi, per il male. Il dolore per il proprio male, il dolore – per usare il termine cristiano – per il peccato. Perché ogni altro dolore è conseguenza di questo. Da questo consegue che
non c’è alcun uomo che possa giudicare l’altro uomo.

Quando ci parlavi di quel giorno - quel giorno in cui tutti saremo come te ora – sottolineavi che saremo giudicati dai bambini bosniaci e dai bambini somali, i quali, per colpa nostra, di tutti, sono morti così. Vedremo allora chi di noi potrà alzare con tranquillità i suoi occhi di onesto. E così riecheggiavi la frase di San Giovanni: “Chiunque si crede senza peccato è mentitore. E la verità non è in lui”.
Tutti noi siamo responsabili del dolore del mondo, per il peccato che in ognuno di noi è. Ed esso consiste nella trasgressione dalla figliolanza del Padre! Dovremmo viverla con intensità, con energia, con avvedutezza, con passione, con pazienza tutti i giorni. Ed invece…Quanta trascurataggine e quanta mancanza nel sentimento di figliolanza nostra al Padre che ci ha fatti, che ci ha creati – perché nessuno di noi c’era, e tutto gli è stato dato, e il Mistero da cui proviene si è fatto chiamare col suo vero nome: Padre. Noi diciamo a Dio: “Abbà, Padre!”. Questo dolore del peccato, che è stato così tormentoso nella tua vita, passi in noi: è un tormento giusto, è un tormento che purifica. Fa male e purifica, fa male e fa bene attorno a sé, in un momento come questo, così tragico per la nostra gente, “per la nostra gente”, come tu dicevi.

Quando un’azione che voglia punire i colpevoli li attacca e tradisce l’unità di un popolo intero – nella sua coscienza unitaria, ed anche nella sua floridezza materiale , che è pure un bene di Dio – allora è segno che in questa azione, almeno come metodo, c’è qualcosa che non va.
Se ognuno di noi riflettesse e sentisse ogni mattina la responsabilità di questo “qualcosa che non va” in quanto dipende da sé,
allora si desterebbe attorno a lui come una luce e un calore nuovo: tu ci hai dato questo esempio. Non solo come profeta hai gridato contro l’attacco alla verità di un popolo, ma da umile santo tu hai ridestato attorno a te luce e calore.

Se mi permettessi di domandarti quale parola soprattutto vorresti ripeterci, così che rimanga la tua eredità in questo breve spazio che ci resta da vivere, occorre ricordare un’altra parola.

Quando tu eri piccolo – l’hai raccontato tu – e il Bambino Gesù ti aveva portato molti doni, tu li mostrasti con sussiego al figlio del portinaio e dicevi: “Io sono il figlio del padrone!”. E quello se ne andò via piangendo. Vistolo piangere, tuo padre, per cui gli operai erano parte della sua carne e del suo corpo come la sua famiglia, domandò il perché. E quel bimbo disse il perché; così che il giorno dopo tu, messo in ginocchio di fronte a tutti gli operai, dovesti dire: “Perdono, perdono!” Questa è la parola! La più grande parola che l’uomo possa ripetere è rimasta ficcata dentro il tuo cuore e il tuo corpo, dentro la tua personalità. Anche quando non sembrò più agire, essa agiva lo stesso: perdono.

Ma questa è la parola che non può portare alcun uomo,
perché la parola “perdono”, o “misericordia”, che è lo stesso, implica l’abbraccio intelligente, e appassionatamente giusto, e spalancato alla valorizzazione di tutti i fattori di un gesto umano. E chi può vederli e abbracciarli può essere soltanto qualcosa di più grande dell’uomo. Accade così con la ragione. Come la ragione è la capacità che la natura ha di prendere coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori, così soltanto una sorgente divina può produrre questo abbraccio totale, per cui l’uomo è immagine di Dio. Così nella moralità, il perdono e la misericordia raggiungono il culmine della espressività umana, imitazione del mistero di Dio, rappresentazione del cuore di Dio. Che Dio ci renda capaci di perdono e di misericordia.

Che potente sentimento avevi di questa parola: perdono!

Non più bambino, ma grande, grande agli occhi e al cuore e alla coscienza di tanta gente, davanti alla società intera, anche quando non era d’accordo con te, grande, eri dominato da questa parola più grande di te: “perdono”. Ma è questo che ti ha salvato nella vita. Si, questa parola ti ha salvato. Giovanni Paolo II in una sua enciclica dice che
la definizione più adeguata di Dio sta nella parola “misericordia”, perché la misericordia eccede, debordando da ogni limite, e abbracciando tutto il dolore e il limite umano fa rifluire in esso il suo fervore infinito di vita, la sua capacità di vita infinita.

Dunque la parola che più definisce Dio è la parola “misericordia”, che infatti è la parola più misteriosa per l’uomo. Non esiste parola più misteriosa di questa o più stranamente attraente e meno credibile di questa, finche l’uomo non sia investito dalla misericordia, che si chiama grazia dello Spirito.

Ora nella storia la parola “misericordia”, dice il Papa, ha un nome: Gesù Cristo.
L’amore a Cristo che ci perdona, che porta la magnanimità del Padre nella nostra carne, nel nostro mangiare e nel nostro bere, nel nostro vegliare e nel nostro dormire, nel nostro vivere e nel nostro morire.

Cristo. Quante volte te l’ho sentita dire questa parola così radicalmente opposta alla bestemmia, l’opposto della bestemmia – e la bestemmia fondamentale è la dimenticanza, perché se Dio ha creato il mondo, se questo Dio è diventato uno di noi , dimenticare questo è veramente il male più grande, la bestemmia più grande - quante volte te l’ho sentito dire: l’amore a Cristo, Cristo, Cristo Dio.

“Chi saprà mai parlare dell’amore all’uomo proprio di Cristo traboccante di pace?”

Ora tu sperimenti questo sentimento di Dionigi l’Areopagita come tua vita, perché la vita è nell’amore a Cristo. L’amore è nell’amore che Cristo ha e nell’amore che noi abbiamo verso di Lui. Chi potrà, chi saprà mai parlare dell’amore all’uomo proprio di Cristo traboccante di pace?

Grazie, amico!

Non ti perderemo per sempre, perché ci hai aiutato a conoscere di più e ad amare e a lavorare per Cristo.