L’ARTISTA FRA CIELO E TERRA
Il Segno – Gennaio 2014

Formidabili quegli anni. Quelli attorno alla prima decade del XVI secolo, all’apice dell’arte rinascimentale. Quando Leonardo dava le ultime pennellate alla sua Gioconda, Grunewald poneva mano all’altare di Isenheim, Michelangelo scendeva dai ponteggi della Cappella Sistina, mentre Raffaello Sanzio proseguiva ad affrescare le Stanze dei Palazzi Vaticani. E trovava il tempo, l’Urbinate, anche per altri nuovi, straordinari capolavori. Come la Madonna di Foligno, gemma preziosa della Pinacoteca Vaticana, oggi presentata a Milano, nell’ormai attesissima esposizione natalizia presso la Alessi di Palazzo Marino. Un’opera bellissima, dove un’atmosfera sognante e umanissima a un tempo, mostra la Vergine svelarsi nel fulgore della Sua divina maternità, e dove il paesaggio naturale si fonde e si trasfigura sulla soglia dell’infinito.

L’opera venne appunto commissionata nel 1511 da Sigismondo de Conti, raffinato umanista e attento storiografo, segretario di Cardinali e Papi, e in ultimo proprio di quel Giulio II, che al giovane Raffaello aveva chiesto di decorare i suoi ambienti in Vaticano.

Lo vediamo in basso a destra, l’anziano diplomatico ormai settantenne, in ginocchio, con le mani giunte in preghiera, vestito della rossa cappa bordata di ermellino del cubiculario pontificio. Presentato alla Madonna e al Bambino, con paterna benevolenza, da quello stesso san Gerolamo, che fu anch’egli segretario di un Papa (Damaso, nel IV secolo), traduttore della Bibbia in latino, e quindi patrono per elezione di letterati e scrittori. Alle loro spalle, fa capolino il leone, inseparabile compagno dell’autore della Vulgata, dopo che questi gli tolse una spina dalla zampa, durante il suo eremitaggio nel deserto.

Sulla parte sinistra della pala, invece, troviamo un san Giovanni Battista scapigliato e prestante, che fissando il suo sguardo risoluto su noi spettatori, ci invita ad andare oltre, ad alzare i nostri occhi al cielo e a posarsi sul Crist. Su quel Dio Bambino fattosi uomo per amore, che il Precursore ci indica a dito, la bocca ancora socchiusa in quella che sembra una mormorazione, ed è invece il grido di chi annuncia la salvezza: “ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. Come già lo contempla Francesco, rapito in estasi mistica, l’alter Christus, il santo che sulla Verna ha ricevuto le stimmate della Passione. Francescani, del resto, erano i rettori di Santa Maria in Ara Coeli a Roma, la chiesa dove la Madonna di Raffaello venne collocata, e dove lo stesso Sigismondo volle essere sepolto. Un luogo assai caro alla cristianità romana, perché sorto là dove, secondo la tradizione, la Vergine apparve all’Imperatore Augusto, per rivelare anche al mondo pagano la venuta al mondo del Salvatore, “ara del cielo”, appunto.

E il luogo dove la magnifica pala rimase fino al 1565, quando una nipote del segretario vaticano decise di portarla con sè nel monastero delle Contesse a Foligno. Dove a sua volta venne requisita dagli ufficiali napoleonici, per essere destinata al Louvre di Parigi, e che la caduta di Napoleone impose di restituire allo Stato Pontificio nel 1816.

Foligno, già. La città umbra dove lo stesso Sigismondo de Conti era nato. E alla quale era sempre stato legato, anche quale Cancelliere per investitura papale. Foligno che vediamo ritratta sullo sfondo del dipinto, eppure in bella evidenza, sui cui edifici s’intravede un rosso bagliore: un meteorite infuocato, oppure un raro fulmine globulare, oa ancora una cannonata di quelle terribile armi da fuoco del XVI secolo. In ogni caso, un grave pericolo scampato, che è poi all’origine di questa pala, che altro non è, dunque, che un grande e maestoso ex-voto.

Come ricorda l’angioletto al centro, in basso, che reca una tabella oggi vuota, senza parole. Così che ad ognuno di noi, spettatori e fedeli, sia come data la possibilità di riempire quello spazio di segrete invocazioni. Perché lassù c’è lei, la Madre, la donna apocalittica ammantata di luce, ad offrirci il Figlio che è già il sole che sorge a rischiarare le genti, attraverso il velo degli angeli soffici come nuvole, di serafini umidi come la pioggia che cade a germogliare la terra. Terra sulla quale si distende l’arcobaleno della pace ritrovata dopo il diluvio, della nuova alleanza fra Dio e l’uomo. Ponte celeste di amore fra la creatura e il Creatore.