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Nella celebrazione della Sua Messa d’Oro, Monsignore
ci ha offerto una nuova toccante meditazione
dell’unica Croce di Cristo: è la realtà che informa
tutti i luoghi di San Carlo, dove si trova la frazione
montana che ospita la Casa San Carlo con la chiesetta, di
cui ci parla in questa omelia. Qualche anno dopo,
Monsignore donerà queste proprietà ai Legionari di Cristo,
che ora le utilizzano per i fini della loro Società.
L’UNICA CROCE DI CRISTO
Domenica 12 agosto 1984
Signor Arciprete, Signor Sindaco, amici e fratelli, mio
incomparabile collaboratore Don Mario, “quid adhuc
dicam?” , che cosa posso soggiungere a tutto quello
che in queste celebrazioni ho visto e sentito? Io non sono
nulla, non so nulla, non posso nulla, né saprò mai, prima
dell’eternità che m’incombe,
le ragioni della scelta di Dio.
Ero prossimo al venticinquesimo di sacerdozio, quando, vivo
ancora P.Gemelli, volendo ogni anno offrire ospitalità
gratuita agli studenti bisognosi, italiani e stranieri, la
scelta del luogo cadde, per un complesso di circostanze
provvidenziali, su questa ridente frazione. Non senza
disagi avevamo iniziato il nostro soggiorno. Senza strada,
senza acquedotto, senza telefono, con una scialba luce
elettrica alimentata da un misero impianto. Poi
l’uragano, il terribile nubifragio del 19 agosto
1958, che sconvolse l’Ossola con una quindicina di
morti a Creola e lo spavento di mia madre, mio e di tutti
in quel tragico pomeriggio, fino alla notte quando, fatto
nel cuore un voto al mio caro S.Giuseppe, riapparve nel
cielo rasserenato la luna. Ci confortò da quell’anno
per molti anni, la dedizione, l’affetto, la squisita
cucina della cara Signora Pasqualina con la capacità di
sacrificio del suo Aldo, il servizio umile e spesso
logorante di mia madre e dei miei: la mia mamma, oso dire,
allora, qui, madre più degli studenti che mia. Lavava la
loro biancheria, le lenzuola, sempre alla fontana, con le
sue piccole mani tremule di vecchiaia, ricomponeva i letti,
puliva le stanze.
I PRIMI AMICI DELLA CASA
Già dal primo anno ebbimo qui persone che poi divennero
assai note, particolarmente nel campo degli studi. Il
Prof.
Giorgio Buccellati,
ultimo figlio del famoso gioielliere, al quale debbo
l’acquisto della casa, ora una vera sommità nel campo
dell’archeologia, degli studi orientali
dell’assiro-babilonese, grande docente
all’Università di Los Angeles, uno dei più famosi
scopritori di città e civiltà sepolte da millenni, sempre
più amico del cuore, ultimò qui la sua splendida laurea
sulla storia ebraica da Hebron a Gerusalemme. Poi il
Prof.
Giorgio Pastori,
orfano dei genitori dall’infanzia, che ho sempre
accolto come un figlio, ora professore e già pro-rettore
dell’Università Cattolica; il Prof.
Giulio Cesare Barozzi
dell’Università di Bologna; il Prof.
Valentino Toffano
direttore della Biblioteca dell’Università Cattolica;
il mio caro Don
Giorgio Fedalto
della Università di Padova e già membro del Consiglio
Nazionale delle Ricerche, in compagnia dell’amico suo
tenerissimo, il
Padre
Reynolds
del Christ College di Liverpool, cugino del grande
scrittore James Joyce. L’intimo amico Dott.
Mario Brughera
insigne commercialista, tanto caro al Card. Benelli. Fu una
vacanza trepida, ma così feconda la prima. Buccellati,
Pastori, Barozzi hanno finito di comporre qui la loro
brillante tesi di laurea, coronata dalla lode e per
Buccellati dalla pubblicazione. Poi vennero il riassetto
della casa, la strada, con l’aiuto del Comune e della
forestale, i viaggi
di
Luciano Taddei
e miei a Novara e a Piedimulera dal geometra Scacciga Della
Silva, che elaborò il progetto, poi l’acquedotto, la
tensione elettrica da 110 a 220 volt, fino al telefono e
allo sviluppo graduale di questo privilegiato lembo di
terra con la sua splendida chiesa e questo altare con la
pala del locale pittore Zanetta, dei primi anni del
Seicento. Chiesa e Casa di San Carlo : opera del grande
Vescovo di Novara e già segretario di S.Carlo Mons.Carlo
Bascapè.
Una parola di ringraziamento devo a tutti i benefattori
della mia casa e di questa frazione. Ma il più vivo grazie
è per Lei, Signor Sindaco
Giuseppe Bernardi,
che ha ideato e realizzato la piazza, la nuova strada, e
curato con intelletto d’amore e profondità di fede
chiesa e frazione, rinnovando l’organo, recandoci la
luce elettrica e allietandoci insieme all’Arciprete,
al quale va pure tutta la mia gratitudine, con il suono
delle campane elettriche, dal millenario campanile della
basilica di Baceno. Se come dice Sant’Ambrogio, il
sommo dovere è la gratitudine, io non dovrei più finire di
dire “grazie”. Grazie a Dio e grazie a tutti.
Ogni nome, ogni parola, ogni gesto sono qui scritti nel
cuore, e Dio sa la mia preghiera diurna e notturna, non
potendo in altro modo assolvere al mio debito e rispondere
sufficientemente grato e con amore all’amore e alla
bontà di tutti.
Gli
anni sono passati.
Qui si sono avvicendate infinite persone, soprattutto
giovani, di ogni nazione e di ogni continente: dalla Svezia
alla Norvegia, l’Irlanda, l’Inghilterra,
l’Olanda, la Francia, il Belgio, al Germania, perfino
l’Ungheria: ricordo il caro e dolente Ladislao,
venuto in Italia per la carità di Don Enzo; e poi
dall’Africa e perfino dal Vietnam e
dall’Oceania. Don
Enzo Bellini
ha tanto amato questo ritiro e qui, nella vecchia casa, ha
scritto la sua tesi di laurea, pubblicata in un volume a me
dedicato, col testo greco accanto, su S.Gregorio di
Nazianzo.
Dall’America e dal Canada abbiamo avuto qui alcuni
ospiti privilegiati, come il caro Prof.
Burt Faibisoff,
ora grande microchirurgo e la sua dolce sposa; e
l'incomparabile
Mark Read
e famiglia da Sacramento. Tutti ricordo, come ricordo i
nostri collaboratori che ci hanno consentito di tenere
aperta ogni estate questa che io vorrei fosse sempre la
casa dell’ospitalità generosa e
disinteressata...
una casa di riposo,
la casa dell’amicizia, la casa dell’amore e
della fede. Qui io ho sempre trovato il riposo
dell’anima, la meditazione e la contemplazione che
amo. E desidero che tutti lo sappiano: io voglio essere un
uomo di preghiera, un prete che ama, che soffre nel
segreto, che pensa a Dio, e in Lui, a ciascuna persona che
incontra.
LA SANTA AGONIA
Qui
ho scritto tante intime pagine religiose, effondendovi
tutta l’anima mia. Qui sono stato confortato dalla
fede di tanti giovani da me prediletti, perché il centro,
il cuore della mia vita, dalla mia prima Messa a
Gorgonzola, è stata la gioventù , particolarmente quella
studiosa, come ha sottolineato, a mio grande conforto,
personalmente il Papa nel suo autografo. Ma mi commuove
sempre di più, ogni volta che celebro a questo altare, la
pietà dei miei cari indimenticabili vecchi frazionisti. La
sua mamma Adelaide, Signor Sindaco, che rivedo puntualmente
al suo posto, la mattina e la sera, per la Messa e il
Rosario, accanto all’altare di San Giuseppe, con
l’ineffabile sorriso dell’anima in grazia,
tutta colma di Dio, e la Signora Delfina, la mamma Fioroni,
sola superstite con la Rosa Beltramini di una generazione
cresciuta alla scuola di Dio.
Hic requies mea. Questo è il vero luogo del mio
riposo,
il mio convento, anche la mia terra di missione, se
missionario è soprattutto colui che prega e pensa agli
altri in certa guisa più che a se stesso. Come ringrazio
tutti di questa celebrazione che rinnova lo spettacolo del
mio 50mo. Di nuovo l’Arciprete e il Sindaco, e con
tutto il cuore Lei, caro, prezioso Commendator Luigi Pezzi,
coi suoi capolavori che resteranno a documentare la
bellezza della Sua arte e la profondità della Sua fede.
Ai miei cari parenti, al fratello, alla sorella, al cognato
e alla cognata, ai nipoti e al piccolo pronipote il
pensiero dell’affetto che dura in eterno. Agli amici
e ai compagni di leva qui convenuti, senza più il caro
Francesco Danelli, a ciascuno e a tutti, il grazie, la
preghiera, la benedizione del cuore. Ai vivi e ai morti che
sono più vivi dei vivi. Ricorderò ora i morti nella
preghiera dei fedeli.
Ma voglio conchiudere con un pensiero che mi è caro. Nel
Salmo 118 che un tempo recitavamo, noi ambrosiani, per
intero ogni giorno, si prega Dio così: “Riempi tutta
la mia carne del tuo timore, mio Dio”. Il timore
filiale, non certo la paura, perché non si ha paura di
colui che noi amiamo veramente. Così, questo timore non
sbocca nella mancanza di speranza o nello sconforto
immobile, attonito, bensì nella fede in Cristo.
Quanto maggiormente mi allontano dalla visione del mio
limite, dei miei peccati, della mia povertà, dei pericoli
che sempre inseguono una vita, tanto più sento il bisogno
di cercare Te, mio Santo Cristo della Croce, per credere in
Te, nella pienezza della Tua Vita nella Madre Chiesa,
nell’Eucarestia, ma anche nei poveri, nei fratelli,
per liberarli in Te dall’angoscia
dell’esistenza.
Così entro nel mio mistero preferito: l’angoscia
della Santa Agonia,
l’angoscia liberatrice della Croce. Il segno che uno
è passato dall’altra parte, che è già al sicuro, è la
ferita misteriosa della Croce. Il Santo (ma io sono un
povero peccatore), è uno che teme, che soffre piangendo,
che condivide il dolore, la fame, i bisogni degli altri, ma
solo dalla parte della Croce. Per questo amo tanto il San
Carlo del Cerano che sta nella mia chiesa di Santa Maria
Segreta, tutto assorto nel mistero doloroso della Passione,
aggrappato in lacrime alla Croce. L’amore attinge
così il suo vertice, la paura scompare e si fa desiderio, e
si consacrano e si consumano in questo respiro di carità
universale tutti gli episodi di bontà, di comprensione, di
compassione, di aiuto verso il prossimo:
“…ebbi fame e mi deste da
mangiare…” E’ in questa carità che
vorrei redimere gli inverni della mia vita. Perché so che
la misericordia infinita si stende su chi si sforza di
vivere nell’amore: un amore generoso, sempre
altruista, compassionevole, redentore come l’amore
unico di Cristo.
Avere l’intelligenza della Croce,
come l’ha vissuta San Carlo, non significa volere ed
amare la sofferenza in sé, che potrebbe essere patologico,
ma possedere il gusto della vita, il suo significato vero
ed insieme la sua fugacità, e scoprire nel falso che ci
viene propinato ad ogni passo, la sola verità che si
compone di tutte le verità parziali, quella della
Redenzione. Sono un redento, un giustificato nella sola
virtù di Cristo, io povero e meschino, ma con l’amore
del raccoglimento e della preghiera abituale, con uno
sguardo autenticamente profondo, per sapere scorgere in
ogni sofferenza, piccola o grande, nella lotta
dell’uomo in tutta storia, la forza, la sola forza
lievitante della Croce.
Vorrei essere in questo tempo che mi resta, col Tuo aiuto,
Mia Vergine segreta, l’uomo, il prete
dell’attesa, della pazienza, della comprensione,
della sopportazione, dell’umiltà, della generosa
universale carità. Cristo è morto per tutti e il senso
della Croce mi fa sentire in sintonia coi poveri, coi
malati, coi vecchi, cogli umili, con tutti quelli che
giacciono miseramente con le spalle a terra, ma mi ispira
anche un amore immenso ai lontani, a tutti quelli che
rischiano di andare perduti: “Ora ve lo dico
piangendo – gemeva S.Paolo – la loro fine è la
morte”. Ma l’amore non perde nessuno. Per tutti
l’amore ha un invito alla speranza.
La resistenza al male e la non violenza costituiscono la
suprema violenza contro tutte le falsità che avvelenano la
terra e s’incontrano nel povero e santo Cristo della
Croce.
La Croce è il grande e permanente messaggio di Dio.
Levata nel mondo come un’antenna, diffonde tre grandi
idee: il Padre che ama tutti e ciascuno e non si stancherà
mai di noi. Il Figlio che s’offre e vince per noi il
male e la morte per sempre. Lo Spirito Santo che tutti ci
unisce nell’Amore di loro Tre, e canta con noi
nell’universo intero. Il loro segno è la
Croce.
Non trionferà sulla terra l’ingiustizia finchè è
tenuta da questa diga potente che è la Croce.
Questo povero tronco piantato sulla terra degli uomini, per
sempre. Ogni tentativo umano, l’egoismo umano senza
confini, la fame, le guerre, il dispotismo di uomini
lontani da Dio, tutto il male che l’uomo fa contro
l’uomo e perfino contro se stesso è destinato a
frantumarsi contro la pietra angolare che è il Divino
Crocifisso. E’ l’ultimo canto e il supremo
messaggio di questa mia Messa d’Oro: alzate le vostre
teste, abbiate fiducia, perché la Salvezza è vicina. La
Madre di Misericordia intercede per noi e ci porta la
Salvezza.