IL MEDICO DI FAMIGLIA
CONVENZIONATO E’ CAPOSALDO
DEL SISTEMA SANITARIO PUBBLICO
DR. ANZALONE - 16 MAGGIO 2006
Mi è d’obbligo fare subito una premessa: il medico di
famiglia fino a ieri libero professionista convenzionato e
caposaldo del sistema sanitario pubblico, è destinato a
scomparire sotto i colpi di una politica sanitaria che
molto assomiglia a quella che ha liquidato in Inghilterra
il tanto decantato Welfare.
La capillarità della diffusione sul territorio degli studi
del medico di famiglia è stata un fattore determinante per
l’accessibilità del servizio e soprattutto per
mantenere saldo proprio il rapporto di fiducia
medico-paziente. Ma con l’ultima Convenzione il
medico di famiglia italiano vede progressivamente
scomparire il rapporto di fiducia, non è più un libero
professionista, anzi è diventato un libero professionista
con contratto da dipendente, ma senza nessuna delle
guarentigie proprie e caratteristiche della dipendenza
stessa.
Il medico di famiglia deve interamente coprire le spese del
proprio studio e del personale, deve procedere alle spese
di trasporto per le visite domiciliari, deve accontentare
tutti, anche quelli che, ad orario scaduto, affollano il
suo studio. In realtà, il medico di famiglia è ormai
giornalmente e duramente impegnato nel cercare di
convincere i propri pazienti che non può essere prescritta
una certa medicina perché la norma AIFA non lo consente e
la reazione più frequente è la reazione di rivolgersi al
magistrato qualora intervenissero complicazioni.
Quando poi il cittadino pensa di andare a denunciare
l’atteggiamento del proprio medico alla ASL di
competenza , la risposta del funzionario spesso non è
quella di confermare la correttezza dell’operato del
collega, ma il cittadino viene liquidato con la fatidica e
perfida frase : “ma se il suo medico
vuole…”
La mancanza di un freno all’accesso indiscriminato
allo studio è fonte di assembramenti che ostacolano un
lavoro ordinato, e non è raro sentire protestare a sbattere
la porta, perché dopo dieci minuti non è ancora uscito il
paziente precedente.
Invano si è invocata l’applicazione di un ticket
anche minimo e comunque da devolvere alla ASL in modo da
evitare gli assembramenti in sala d’attesa.
E’ facile capire quale sarà il fine di un medico che
nessuno, anni fa, si sarebbe permesso di contestare, medico
lasciato solo a contenere la rabbia di un paziente nei
confronti del quale non mi risulta che qualcuno si sia mai
premurato di chiarire quali siano i propri diritti e quali
i propri doveri.
Quindi sfiducia, avvilimento professionale, perdita di
interesse e motivazione per il lavoro di tutti i giorni,
desiderio di cambiare attività e senso di colpa. Le
situazioni di conflittualità e di contrasto coi propri
assistiti si verificano a volte per motivi clinici, ma più
spesso per aspetti di carattere amministrativo-burocratico,
o di comunicazione con l’ospedale o lo specialista.
Insomma il sistema è diventato farraginoso e costoso. Si
parla sempre più frequentemente di malpractice, e con
preoccupante disinvoltura si diffonde la convinzione che la
medicina abbia fatto tali progressi da non giustificare più
errori. Il medico moderno invece ha molte più occasioni di
sbagliare.
A questo punto voglio ricordare che dopo secoli di
esercizio professionale basato sulla esperienza, noi
dobbiamo conciliare la libertà del medico con valutazioni
economiche che partono da istituzioni che si chiamano:
azienda, ed ancora proprio nei giorni scorsi la categoria è
stata indicata al pubblico ludibrio e 500 colleghi sono
stati denunciati alla Corte dei Conti sulla semplice
constatazione di un conteggio numerico delle proprie
prescrizioni. Ecco allora apparire quello che la Regione ha
chiamato: il governo della domanda, interferendo sul
fondamentale rapporto medico-paziente fondato sulla
alleanza terapeutica, rispettosa delle competenze e delle
scelte dei due attori, da una parte garante delle libertà
del cittadino e dall’altra parte, nello stesso tempo,
dell’etica medica.
Il controllo della domanda urta contro insormontabili
ostacoli etici e deontologici che nessun Ordine può
avallare, aldilà della considerazione che nessun controllo
può esistere senza una analoga responsabilizzazione del
cittadino, e senza che ad un diritto non corrisponda un
analogo dovere.
Un conto è opporsi agli sprechi, un altro è invitare a
prescrivere meno medicine, premiando economicamente chi lo
fa. Infatti la spesa programmata non può non rispettare
paletti etici insormontabili.
In un mondo sempre più dinamico e in rapidissima
evoluzione, l’impatto della longevità con annessi
oneri economici, le patologie dell’invecchiamento
(Alzheimer), l’ansia e la depressione, i fattori
psicologici e sociali, le problematiche legate alla
povertà, l’impatto sull’ambiente, i virus che
ormai viaggiano in aereo, tutto questo comporta un grande
urto sulla sanità, con la immediata conseguenza che
l’assistenza diventerà sempre più costosa.
Io penso che saremo costretti a rielaborare a rielaborare i
concetti della solidarietà e dell’eguaglianza, e
riedificare gli aspetti etici.
Gli stessi percorsi terapeutici sono un falso problema: un
conto sono i consigli a supporto della professione, ma se
si parla di protocolli di Stato, allora il discorso è
esclusivamente economico.
Occorre insomma che la parte pubblica abbia finalmente il
coraggio e l’onestà di dire ai cittadini quello che
le risorse possono concedere, e quello che non possono più
elargire, e sostituire ad una medicina spesso
economicamente e socialmente dissennata una medicina che io
chiamo: sostenibile, stabilendo le dovute priorità e
lasciando il resto alle responsabilità dei cittadini.
Il medico ha scelto di servire il malato riaffermando il
proprio ruolo privilegiato in difesa del paziente.
Per concludere occorre chiarire che, se il discorso delle
risorse è certamente fondamentale, non spetta certamente al
medico affrontarlo, tanto più se è costretto a scontrarsi
nella sua pratica clinica con decisioni prese in base a
motivazioni economiche da chi non ha nessuna responsabilità
agli occhi del paziente, dei giornali, dei giudici riguardo
ai risultati delle cure.